Anzitutto
bisogna capire che cosa fa parte della “cognizione” secondo la psicologia.
La
conoscenza che l’individuo ha dei sui processi cognitivi viene poi chiamata
metacognizione. Queste le aree in cui si suddivide generalmente la cognizione
in psicologia: Memoria, Attenzione, Ragionamento. A cui si possono aggiungere: Comprensione,
Produzione del linguaggio parlato e scritto e Percezione.
Queste
attività mentali sono distinte tra loro. Dipendono da aree cerebrali situate in
zone diverse nella corteccia: e infatti, danni specifici a determinate aree,
anche piuttosto circoscritte, portano a specifici deficit: questo è un
principio fondamentale della neuropsicologia. Così ad esempio le amnesie sono
provocate da danni all’ippocampo, le afasie negli adulti sono provocate da
danni all’emisfero sinistro come negli infarti cerebrali o ictus; invece,
disturbi del movimento come il Parkinson sono provocati dalla degenerazione di
nuclei sottocorticali, ecc.
Per
quanto riguarda le emozioni, queste non vengono considerate propriamente
“cognizione” dal momento che dipendono da nuclei sottocorticali come l’amigdala
e l’ipotalamo. Inoltre, le emozioni si “sentono” mentre un calcolo matematico è
qualcosa che si fa “a mente” (cognizione).
Fatta
questa introduzione vediamo alcuni esempi per ciascuna delle attività cognitive
menzionate, su cui si può esercitare un
certo controllo volontario (detto appunto metacognitivo).
ATTENZIONE:
più
siamo attenti meglio rispondiamo agli stimoli ambientali; così se stiamo
attenti allo scattare del verde siamo più veloci a partire al semaforo; lo
stesso avviene agli sprinter nelle gare di atletica; se invece in quel momento siamo intenti a canticchiare una canzone e la nostra attenzione non va alla luce del semaforo (anche se lo stiamo comunque guardando), siamo molto meno pronti. Dunque le “risorse attentive” correttamente indirizzate possono rendere più efficace, più selettiva la nostra percezione (sia visiva che uditiva; ad esempio gli atleti percepiscono chiaramente lo sparo dello starter e indistintamente il rumore di fondo della folla).
Anche in compiti di “ricerca visiva” l’attenzione è
implicata: quando cerco una parola nel dizionario (cartaceo) sto utilizzando
l’attenzione, lo stesso al supermercato se scorro gli scaffali e tengo a mente
“Pasta Barilla” e cerco qualcosa di colore blu scuro, lo trovo più velocemente.
Quindi l’attenzione è simile a una “energia” in più che possiamo impiegare per
rendere un po' più efficace la percezione.
L’attenzione
è comunque una risorsa limitata: se ascolto la musica difficilmente riesco a
concentrarmi su un testo scolastico; quando sono nel traffico caotico di una
città dove non sono mai stato, mi viene naturale abbassare il volume della
radio per non farmi distrarre (infatti la voce dello speaker sarebbe difficile da ignorare e attirerebbe
automaticamente una parte della mia attenzione). Se invece sto facendo un
lavoro manuale (stendo i panni, preparo la tavola) che non richiedono
concentrazione, posso tranquillamente ascoltare la musica. E’ cioè esperienza
comune quella di sperimentare l’interferenza tra due fonti contemporanee di
stimolazione sia quando occupano lo stesso canale sensoriale (es. uditivo, due
persone che mi parlano di cose diverse nello stesso momento) sia quando tali
fonti sono in “formato” diverso ma tutte e due richiedono una elaborazione
cognitiva complessa (cercare visivamente la strada sconosciuta + sentire la
musica). L'attenzione quindi per come la intende la psicologia è la capacità di isolare uno stimolo per meglio comprenderlo, percepirlo, studiarlo e di ignorare invece altri stimoli non rilevanti (distraenti) presenti contemporaneamente.
L’attenzione
ha dei limiti anche in senso temporale: dopo un certo tempo non riusciamo più a
prestare attenzione a un certo stimolo; è una forma di affaticamento differente
dalla stanchezza fisica.
Metacognizione relativa all’attenzione (non si dice meta-attenzione):
L’attenzione
è tra i processi cognitivi che si utilizzano anche nello studio. Viene di solito suggerito in un ambiente non distraente, né per il rumore né per
stimoli visivi (tv, giardino).
Molto
utile è imparare a monitorare il proprio livello di attenzione, per esempio
durante una lezione o mentre si legge il libro, per accorgersi di quando il
limite temporale è stato superato e non si è più efficaci nel focalizzarsi sul
messaggio letto o udito.
La definizione di metacognizione include
due aspetti:
1) la conoscenza metacognitiva ovvero ciò che il soggetto sa circa
il funzionamento dei propri processi cognitivi e
2) l’autoregolazione (o i processi metacognitivi di controllo).
E’ proprio attraverso l’attenzione
che io posso accorgermi e controllare quanto sono efficace in questo preciso momento
nello studio, attivando l’attenzione non solo al materiale di studio ma anche
al mio processo di comprensione. L’attenzione può essere spostata ora fuori di
me, al materiale, ora dentro di me, sui processi di comprensione che sto
attuando.
Memoria:
Primo
esempio.
Si
può fare un esperimento del genere: il prof legge una volta otto non-parole:
TRUP, ORGO, ZOLTO, NITA, ERPI, LONA, POLE, ARNE; dopo circa 10 minuti trascorsi
in un’altra attività (esercitiamo la MLT non la MBT) gli studenti singolarmente
provano a ricordarle (ad esempio ne ricordiamo tre). Facciamo passare un’ora o
anche un giorno, ripetiamo l’esercizio con queste altre otto parole: COLTELLO,
CUCCHIAIO, FORCHETTA, TOVAGLIOLO, BICCHIERE, PIATTO, SCODELLA, PENTOLA; è
facile verificare che, di nuovo dopo 10 minuti, gli studenti ne ricordiamo
anche 5 o 6. La differenza tra il primo e secondo esperimento sta nel fatto che
la seconda lista è formata di parole legate tra loro da un senso o significato.
Anche
i primi studi sul ricordo di racconti, effettuato da Bartlett (1932) evidenziò
questo aspetto, del resto abbastanza ovvio: se ci viene raccontata a voce una
favola, ci ricordiamo poi la trama più facilmente che non i dettagli; alcuni di
questi vengono proprio omessi ma altri, assieme ai nessi logici tra gli
avvenimenti, vengono “ricostruiti” o ipotizzati/ indovinati nel momento in cui
si cerca di rievocare quanto ci è stato letto. Si parla di natura ricostruttiva
della memoria anziché semplicemente “riproduttiva” o fotografica.
Metamemoria:
Alla
base di tutte le teorie (conosciutissime in psicopedagogia da Gardner a Ausubel)
che parlano dell’apprendimento
significativo stanno esperimenti come il precedente. Trasferendoci nello
studio quotidiano, capiamo che è più facile ricordare delle informazioni se
siamo riusciti a costruire tra di esse dei nessi logici, come se tutte le cose andassero
al loro posto all’interno di un discorso. (Ecco la difficoltà per docenti e
studenti di utilizzare certi libri…. in cui le connessioni tra i vari paragrafi
o addirittura tra i capoversi sono deboli). Anche quando si ripete oralmente ad
un'altra persona quel che si è studiato, siamo costretti a ricercare dei collegamenti
tra i vari “pezzi”, proprio per comporre un discorso e farlo seguire al nostro
uditore. “Ripetendo” invece in solitudine non è facile accorgersi quando il
discorso “non fila”.
Memoria:
Secondo
esempio.
Esemplifichiamo
il fenomeno dell’interferenza. Cerco di memorizzare la password nuova della
carta di credito (una sequenza di numeri). Ma nel momento in cui la devo
digitare al bancomat il mio dito si muove per abitudine a formare la password scaduta.
Ciò succede perché l’informazione vecchia “non lascia posto” a quella nuova. Si
osserva che l’interferenza avviene tra informazioni della stessa “natura” o
formato: la password scaduta ha interferito con il ricordo della nuova perché
entrambe erano numeriche. Con la password nuova non ha infatti interferito la
password vecchia del portatile che è invece formata da due parole.
Metamemoria:
Se
cerchiamo di evitare fenomeni di interferenza non studieremo Aristotele subito
dopo aver letto Platone altrimenti alla fine, anche se ricorderemo in generale
varie cose dette e fatte da entrambi, non riusciremo a attribuirle
correttamente a uno o all’altro dei due. Si tratta di una strategia basata sul
punto 1 della def. di metacognizione (rivedere).
Comprensione del testo scritto
Supponiamo
di leggere un romanzo con la descrizione di una stanza: con l’immaginazione
visiva ci formiamo un’idea di come sono disposti i mobili e i vari oggetti. Ci
creiamo un’immagine mentale e utilizziamo anche le nostre conoscenze pregresse
sul mondo: se c’è un tavolo nella stanza ci aspettiamo una sedia, se si parla
di “scrivania” ci aspettiamo un cassetto, se si parla di “libreria” capiremo
che si parla di un “certo mobile con scaffali orientati in verticale” e non di
un “negozio di libri” collocato all’interno della stanza, ecc..
Infatti nel
processo di comprensione di un testo utilizziamo automaticamente le
informazioni che possediamo da quanto appreso nelle righe già lette, facciamo
inferenze, verifichiamo la coerenza tra gli elementi del testo (capiamo subito se
la descrizione della stanza è realistica o meno, ad esempio). Così se leggiamo
un racconto e incontriamo un personaggio
che è morto qualche pagina prima ci viene spontaneo tornare a controllare nelle
pagine precedenti (strategia di studio) qual era il nome del personaggio
effettivamente morto oppure inferiamo (= deduciamo) che l’autore sta parlando
del fantasma di quel tal personaggio (deduzione che possiamo fare se stiamo
leggendo un romanzo o un fantasy ma che non faremo se stiamo leggendo un libro
di storia). Fin a qui stiamo descrivendo il processo di “comprensione del
testo”.
Metacomprensione
Per
quanto riguarda la metacomprensione, è bene monitorare con l’attenzione come
sta andando la nostra lettura, se abbiamo percepito incoerenze, trovato parole
sconosciute, se il testo presuppone che conosciamo già bene un concetto o un
processo che invece non ricordiamo (utile anche per biologia non solo per
materie discorsive). In questo caso utilizzeremo la componente n. 2 della
definizione di metacomprensione (rivedere).
Infine,
sempre legate alla comprensione del testo scritto, sono da menzionare alcune
strategie per la lettura. Quando leggiamo un brano, possiamo
leggerlo in vari modi: da cima a fondo come un romanzo oppure scorrendolo
velocemente per cercare una parola chiave (ricerca visiva guidata
dall’attenzione). Si può anche scorrere il testo rivedendo i titoli dei
paragrafi in fase di ripasso per verificare di sapere di cosa si parla in
ciascuno; la lettura a salti può avvenire anche in fase iniziale per orientarsi
all’interno di un capitolo per capirne la struttura in paragrafi (per es. : spesso
si inizia con una parte generale e poi nelle pagine seguenti si va a parlare
dei vari elementi menzionati nell’introduzione).