Autobiografia dello scrittore di colore Richard Wright che a inizio Novecento cresce e diventa uomo nella società americana follemente razzista. Molto vividi i ricordi dell'infanzia: la casa nel Sud, le figure parentali autorevoli e irragionevoli, la religiosità fanatica e primitiva, lo sgomento costante di un bambino di fronte al pensiero fatalista, rassegnato e limitato dei propri congiunti.
Una storia piena di vita e di ricerca: Wright, oltre a dover svolgere i più disparati mestieri per sopravvivere, crebbe pieno di curiosità e spirito critico e cercò costantemente di studiare, leggere, comprendere i meccanismi dell'esclusione e dell'oppressione che relegavano ai piedi della scala sociale non solo i neri americani ma anche la totalità della classe lavoratrice più umile.
Non si tratta di un'indagine sociologica: vale molto di più; si tratta di un lungo racconto in prima persona in cui con lucidità Wright, nel raccontare le proprie vicissitudini e difficoltà quotidiane, restituisce le emozioni, le sorprese e le delusioni che può incontrare chi - partendo dal nulla di una condizione di svantaggio culturale e materiale - cerca di farsi largo o, quantomeno, di ritagliarsi uno spazio, in un mondo ostile. Contemporaneamente, e questo ha reso straordinaria la sua esperienza, l'autore ci fa rivivere il suo impegno costante a capire come funziona ii mondo in cui si trova gettato, mondo che viene ricreato e mantenuto dal modo distorto di ragionare delle persone (pregiudizi, divieti non scritti, barriere, ostracismi ecc). Lucida la sua capacitò di leggere le motivazioni altrui e le relazioni, la meschinità dell'agire sia di bianchi che di neri.
Un testo che giustamente Einaudi proponeva in edizione per la scuola e che anche oggi è lettura consigliata, a mio avviso, per i ragazzi di scuola media o del biennio superiore.
Scorrevole la lettura grazie alla buona traduzione.