Everything should be as simple as it is, but not simpler. (Albert Einstein)
29 marzo 2012
24 marzo 2012
Figure e sfondi
Generalmente
chiamiamo paradossale ciò che è contraddittorio, assurdo o ciò che ci appare tale. La nostra percezione funziona per contrasto: notiamo un oggetto solo se è distinto dallo
sfondo (il numero a fianco in realtà non è tracciato, obiettivamente sono
presenti solo dei pallini…) e quanto più se ne differenzia tanto più la notiamo.
Il mimetismo animale funziona proprio con questo principio.
A scuola
Tiziano incrocia il preside nel corridoio e non lo saluta. Sdegno.
Dire che
qualcuno è maleducato implica necessariamente, a monte, l’esistenza di una norma
condivisa comune, data per scontata: che si deve salutare chi occupa una
posizione gerarchica più alta della nostra anche se non lo si conosce
personalmente. La maleducazione implica che esistano delle norme di educazione.
Il
comportamento di Tiziano è come il calice. Lo sfondo, sono le regole della
buona educazione. Vediamo il calice grazie al bianco dello sfondo. Ma anche
possiamo vedere che c’è uno sfondo, se ci focalizziamo sul nero del calice.
Il nostro giudicare contraddittoria o impossibile una certa cosa ci permette di notare, se cambiamo focus dell’attenzione, da che cosa è composta la trama uniforme dell’ordinario. E’ il gioco, ben conosciuto a tutti gli studenti di psicologia, della figura e dello sfondo.
Uno spazio
vuoto è un buco solo se attorno c’è un muro. I mattoni che lo compongono sono
le credenze, le idee, le conoscenze, i significati e le abitudini con cui
viviamo la nostra vita.
Quando
qualcosa di insolito ci colpisce, abbiamo la possibilità di capire qual è la
regolarità che non è stata rispettata; possiamo risalire dal contorno del buco
ai mattoni del muro, e possiamo capire che cos’è che ci fa considerare naturale
e logico ciò che è semplicemente convenzionale. E perché, troppo spesso, cioè
che è insolito finisce per essere sbrigativamente visto come insensato.
21 marzo 2012
Le tre Grazie
Il destino della riforma del lavoro è nella mani di tre donne. L'avevate notato?
Prima di Elsa Fornero l'unica donna Ministro del Lavoro della Repubblica era stata Tina Anselmi tra il '76 e il 78. La Marcegaglia è la prima donna presidente di Confindustria e Susanna Camusso prima donna a guidare la CGIL.
Non possiamo dimenticare, però, che l'Italia è il penultimo, tra i Paesi OCSE, quanto a percentuale di donne occupate. Meglio solo della Turchia.
E dunque, nel caso attuale dei vertici istituzionali, si tratta solo di una coincidenza?
E dunque, nel caso attuale dei vertici istituzionali, si tratta solo di una coincidenza?
La crisi degli ultimi anni ha accentuato la deprimente situazione occupazionale femminile. Che una donna non lavori appare infatti in qualche modo più accettabile che nel caso di un uomo. Questa impressione ci deriva proprio dalla nostra concezione, un po' fuori dal tempo, dei ruoli e dei compiti attribuiti ai due generi. E' una questione culturale e non si tratta solo di "maschilismo" come qualcuno potrebbe dire. E' la rigidità dei ruoli sia di donna che di uomo che entra in gioco.
La manifestazione "Se non ora quando?" è stata un bella esperienza, perché partita dal basso, dall'associazionismo. E' stata però un'eccezione.
La manifestazione "Se non ora quando?" è stata un bella esperienza, perché partita dal basso, dall'associazionismo. E' stata però un'eccezione.
Quello che serve senz'altro, e che non si è visto nell'era "televisiva" appena conclusa, sono interventi dall'alto (e non pochi) sull'occupazione di donne (ma anche di uomini) che, di conseguenza, producano a lungo termine effetti a catena anche sulla percezione che ne abbiamo.
17 marzo 2012
Identità e attribuzioni
Un insieme di persone, diciamo 15. Alcune si conoscono da tempo, altre sono nuove.
Uno mi sembra introverso, dell’altro so poco o nulla perché è appena arrivato. Ma della mia amica Silvia so che è persona scrupolosa e attenta. Ed apprezzo il suo amore per la cultura. Marco, un mio collega, è bravissimo col computer e a programmare ed in più, almeno con me, è sempre stato molto onesto e generoso.
Luca dice sempre quello che pensa, anche quando non dovrebbe…
Meglio conosco qualcuno e meglio lo posso descrivere, e forse anche definire. Ma quanto più conosco una persona, tanto più mi accorgo che una parola sola per lei non sarà sufficiente. Carlo è curioso ma anche pigro a volte; è molto pacato in certe situazioni ma altre volte si arrabbia, specie se è sotto stress. Carlo è tutte queste cose insieme. Quante altre caratteristiche Carlo possiede che io non conosco?
Che dire dell’opinione di Carlo stesso? Quali caratteristiche sceglie per descriversi? Apparentemente è proprio lui il miglior esperto di se stesso… e se non avesse mai dato il giusto peso al suo essere curioso? Se avesse sempre pensato di essere un bravo tennista e niente più? La sua immagine sarà più o meno completa di quella che gli rimandano, ad esempio, i suoi familiari? Certamente sarà diversa.
A chi credere?
11 marzo 2012
3 marzo 2012
Why social marketing doesn't work (di Tim Harford)
Perché spesso sovrastimiamo la probabilità di un successo virale
Perché spesso sovrastimiamo la probabilità di un successo virale
Nel 1948 Harold Lasswell mise in luce che l'obiettivo della ricerche sui media era scoprire "chi dice cosa a chi attraverso quale canale con quali effetti". Per la prima metà di secolo circa, dopo che Lasswell precisò il problema, la questione è però rimasta impossibile da affrontare.
Forse ora le cose stanno cambiando. I social network generano un enorme massa di dati riguardo a "chi dice cosa e a chi". Economisti, informatici e sociologi scavano nel profondo dei social media per avere le risposte a quelle domande che da anni sono ancora aperte; e una manciata di risposte sono attese con ansia, come quel segreto capace di provocare il successo sicuro.
Dunque, come produrre il film perfetto? o scrivere il libro perfetto? o comporre il perfetto tweet su Twitter in modo da massimizzare le probabilità di un'ampia diffusione? Duncan Watts, un sociologo matematico della Columbia University e di Yahoo! Research dà queste risposte (che, mi spiace, ma non sono incoraggianti): "Ho usato i social media per promuovere il mio libro" dice, "ed è stata solo una perdita di tempo, non ha avuto praticamente alcun impatto."
(Gli dò una mano. Il libro si chiama "Ogni cosa è ovvia (una volta che conosciamo la risposta)".)
Parte del problema, forse, è che le nostre aspettative sono falsate. Se guidate i bus a Londra, sarete sorpresi di scoprire che molti sono quasi vuoti. Un "bus medio" a Londra, secondo il Department for Environment, Food and Rural Affairs contiene solo 17 passeggeri. Chiaramente la maggior parte dei viaggiatori si trovano su quegli autobus che sono pieni.
La storia è simile per i media virali: notiamo i successi semplicemente perché hanno successo e ne sovrastimiamo la frequenza (o probabilità). E c'è poi il "bias di sopravvivenza": nell'analizzare ciò che funziona, ignoriamo quello che fallisce. "La gente pensa che sia tutta una questione di video con gattini e bambini carini" dice Watts, "Ma ci sono milioni di video che hanno queste caratteristiche e che non hanno affatto sfondato".
Watts e i suoi colleghi, in un articolo intitolato "Ognuno è un centro di influenza sociale", studiano quel fenomeno mediatico che è la Twitter cascade. Una "cascata Twitter" si verifica quando il tweet di una persona viene ripetuto da altri utenti (ri-tweettato), i cui ri-tweet vengono a loro volta ri-tweettati e così via. Chi non conosce Twetter si può immaginare il diffondersi di un pettegolezzo o di una battuta esilarante.
La prima sorpresa è che una tipica Twitter cascade è sia rara che molto piccola. Il 90% di tutti i tweet non vengono ri-tweettati e il resto, per la maggior parte, viene ri-tweettato solo dagli immediati follower di quella persona: non da chi sta a due o tre nodi distanza.
La seconda sorpresa, poi, è che, oltre quelli incredibilmente ovvi, è impossibile predire quali tweet daranno l'avvio a una di queste "cascate". Sapere che un utente ha fatto iniziare in precedenza altre "cascate" dice a Watts e colleghi praticamente tutto quello che possono indovinare circa la probabilità di un altro episodio simile. E questo non è molto.
A Duncan Watts piacerebbe molto che le aziende del marketing conducessero esperimenti ben controllati per sapere quali messaggi riescono a durare, facendo la differenza, nei social network. Non crede però che le aziende cominceranno a farlo. "Quando fai questi esperimenti nel modo giusto, tutti numeri si abbassano", dice. Watts pensa che il risultato probabile di tali esperimenti sarebbe di dimostrare quanto è difficile che il marketing dei social media abbia un qualche impatto.
Posso ora candidamente implorarvi di seguire me su Twitter (username: @timharford). Ma, eccoci di nuovo al punto. La maggior parte delle cose sono destinate a non aver successo: come dice Watts, "la maledizione del riuscire a misurare tutto, è il dover continuamente fare i conti con questa verità".
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Tim Harford è un economista inglese, famoso come editorialista del Financial Times, autore del divertente programma More or Less su Radio BBC. In Italia lo abbiamo conosciuto quando Internazionale pubblicava le sue risposte alla posta dei lettori.
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