17 maggio 2012

Psicologia (costruttivista) dell'educazione


Genitore (dal latino gignĕre)è chi genera un altro essere umano.
Generare un essere umano non è lo stesso che creare un vaso di argilla. Non lo si può modellare. Non si può nemmeno fare un progetto e poi confrontare il risultato.
La differenza tra il vaso di argilla e la persona sta nel fatto che la persona pensa,  il vaso ovviamente no.

 Essere genitori significa piuttosto dare il via a quel “sistema di pensieri”, in carne ed ossa, che chiameremo persona
Ciascuno di noi è appunto questo: un sistema di pensieri, progetti per il domani, abitudini, un aggregato di convinzioni, un insieme atteggiamenti, preferenze. Questi sono la “materia” di cui siamo fatti.
Pensieri, convinzioni e atteggiamenti, quando appartengono agli altri, difficilmente possono essere regolati o controllati.  E’ difficile afferrare una paura ad esempio, o bloccare un atteggiamento; non ha senso neanche programmare un’opinione o guidare un pensiero (come sa chi fa meditazione). Non si può agire sulla mente come fosse qualcosa di materiale. Serve fare un passo indietro.
Questo genere di  “cose” non possono essere toccate ma solo sentite (come il fuoco) e con loro si deve usare un altro approccio: convinzioni, valori, credenze e atteggiamenti (altrui o di noi stessi) possono essere solamente osservati e capiti. Eventualmente comunicati. 
Se riconosciamo questo, restituiamo agli altri la libertà di sentire  in maniera autonoma e di pensare.

E’ nella relazione genitore figlio che più facilmente possiamo aspettarci di trovare un amore incondizionato. Desideriamo tutto il bene del mondo per i nostri figli.
Nelle altre relazioni umane, dall’amicizia all’amore, è sempre presente una componente di “utilità” nel senso che, stando insieme o passando del tempo con l’altro, ricaviamo qualche beneficio: il mio compagno mi fa star bene, mia moglie mi capisce e con i miei amici vado al mare a divertirmi. Ovviamente non si tratta di benefit tangibili o concreti ma pur sempre di qualcosa che mi spinge a continuare il rapporto con loro.
Dato che relazioni di questo tipo possono soddisfarci o meno, possiamo anche decidere di interromperli: i miei amici non sono più così simpatici, il mio compagno non è più premuroso, mia moglie non mi ascolta più come faceva una volta.
  
Con i figli si ha, invece, un rapporto che non prevede nulla in cambio. Non è previsto un bilancio costi/benefici né il divorzio né la separazione.
Il genitore infatti accetta i suoi ragazzi per come sono o quantomeno si sforza di arrivare a questo livello di accoglienza.
E l’accoglienza è una delle componenti dell’amore.
Accettare un figlio significa accettare il suo modo di essere per aiutarlo a crearsi la sua vita; significa, in questo senso, “partire” da lui.
Mia figlia sta crescendo, ha 14 anni: se cerco di cambiarla nei suoi interessi, nelle sue passioni, nelle persone che vuole frequentare, nei suoi progetti, nelle convinzioni relative a se stessa che ormai ha maturato…  questo mio tentativo non porterà nessuno di noi da nessuna parte.
Correggere, cambiare, raddrizzare, aggiustare… non sono verbi che si possono applicare a pensieri, preferenze, opinioni, atteggiamenti. E’ molto più efficace, in questi casi, il conoscere: cioè l’osservare e l’ascoltare.