Abbiamo
detto, nel post precedente, che ciò che essere genitori significa generare
un sistema di pensieri. E che questo sistema di pensieri sia una persona a sé
stante con una sua propria libera volontà risulta chiaro non appena inizia a
camminare da solo.
La sfida per
il genitore è quella di crescere figli autonomi. Autonomo è l’opposto di
dipendente ma significa anche, dal greco αυτοσ
(da solo) e νόμος (regola, legge),
che sa darsi regole proprie. Altrimenti detto che non ha più bisogno di
sentirsi dire cosa fare, che gli vengano date istruzioni.
L’autonomia
che vogliamo per i nostri figli è però accompagnata dalla responsabilità: mi auguro che mio figlio sappia ciò che fa. Almeno
da adulto.
L’educatore,
quindi, ha l’obiettivo di formare una persona che sia in grado di agire per il
meglio.
“Agire per
il meglio” in realtà non significa molto. Ci sono tanti modi per agire bene e
tanti modi per agire male. La perfezione, invece, è assoluta e unica, ma non è
di questo mondo.
Non siamo
persone a una sola dimensione: i nostri figli non esistono soltanto in rapporto
al profitto scolastico. Ci accorgiamo che è importante tenere conto di altre caratteristiche personali che entrano
in gioco quando ci si costruisce il futuro. Si può essere cooperativi,
altruisti, entusiasti… si può essere riflessivi, sensibili, sportivi.
Ci sono tante
qualità da scoprire e valorizzare senza farsi scoraggiare dai difetti o dalle
insufficienze, non solo scolastiche, di quei futuri adulti che abbiamo messo al
mondo.
All’educatore
è richiesta un po’ di fantasia ed un po’ di esperienza, per saper cogliere e
non ignorare le qualità che rendono
uniche e diverse le persone.
La
prospettiva rimane quella dell’autonomia.
Occorre
conoscersi per compiere le scelte migliori. Pensiamo alla scelta della scuola
superiore. Molti tra i genitori e gli insegnanti riferiscono di non vedere dei ragazzi
pronti per una scelta che li impegnerà per i cinque anni successivi. A quattordici
anni, non tutti sono ancora ben consapevoli dei loro punti di forza e delle
loro debolezze e non hanno, quindi, la capacità di immaginarsi con
realismo come adulti in una professione. Semplicemente, non si sono ancora
sperimentati abbastanza, né nella vita, né nella scuola e non hanno quella
conoscenza del mondo che potranno avere più avanti.
Conoscersi significa perciò sapersi
valutare. Confrontarsi con gli altri in questo senso è fondamentale per
sapere in che cosa si è diversi dagli altri, per avere un’idea di se stessi che
non sopravvaluti né sottovaluti quello che oggi siamo.
E’ giocando a pallavolo che capirò se quella
diventerà la mia strada o se rimarrà, anche da grande, un’attività del tempo
libero. Studiando insieme ai miei amici mi potrei accorgere che Storia e
Italiano mi piacciono, in generale, più che al resto della classe. Non mi
confronterò per vedere se io sono più brava, o meno, per sentirmi migliore, ma guarderò
agli altri, semplicemente, perché troverò tanti spunti e riferimenti diversi
per valutare me stesso.
E quando saprò valutare che stasera ho bevuto
un troppo, sarò anche responsabile verso me stesso e chiamerò un taxi per farmi
portare a casa. Quando saprò valutare che con quel ragazzo non ho più di tanto
in comune, deciderò di allontanarmene e non uscirci più.
L’obiettivo è
che le scelte di mio figlio o di mia figlia siano motivate e non
casuali.