25 agosto 2013

Due parole su come i media hanno parlato del bombardamento chimico su Ghouta del 21 agosto 2013

Dopo 100 mila morti Jean Pascal Zanders, uno degli esperti militari della UE, dopo attenta valutazione, si sbilancia e dice che quello che si è visto tra il 21 e 22 agosto non può essere "finzione"; così scrive l'Independent:

"Jean Pascal Zanders, a senior research fellow at the EU Institute for Security Studies in Paris, was also puzzled as to why the regime would carry out such an attack with UN experts there. But he continued: "It is clear that something terrible has happened. The scenes could not have been stage-managed. None of the victims appeared to have external wounds from blast, shrapnel or bullets. The footage seems to offer more convincing evidence of poisoning through asphyxiation - witness the pinkish-bluish hue on the faces of some of the fatalities...."

La linea adottata da molte reti televisive tra cui BBC e France24, è stata analoga a quella dell'Independent, ovvero il sottolineare immediatamente quanto insensato da parte di Assad sarebbe usare il gas nei giorni in cui a Damasco già si trovano gli ispettori ONU che devono indagare sugli altri casi (accertati) di utilizzo di armi chimiche.
L'ovvia constatazione per cui due anni di paralisi ONU e inazione globale hanno rafforzato la convizione di Assad di poter vincere e ripulire la Siria dagli oppositori, non è stata avanzata in nessun notiziario nè in nessuna intervista. A qualcuno però la condotta di Assad continua a ricordare quella del Milosevic degli anni 1992-95, e anche le analogie tra gli atteggiamenti della comunità internazionale di allora e di oggi sono macroscopiche: se ne deduce che a chi lavora nell'informazione non si richiede di avere alcuna memoria storica.

Non potendo mettere la notizia in secondo piano già dal primo giorno, si è puntato ad affermare che non ci può essere certezza su chi sia responsabile dell'attacco. Il discorso che si è sentito - ripeto, nei principali notiziari di BBC e France24 e fino a venerdì 24 - è del tutto insoddisfacente nel caso estremo in esame in cui è stato subito evidente come la zona colpita sia stata estesissima (corrispondente a mezza periferia di una metropoli) e quindi tale da richiedere, per essere bombardata, un dispiegamento e un impiego simultaneo di mezzi (razzi e forse aerei) finora dimostratosi alla portata solo delle forze governative.
Non solo: che la Siria sia uno dei pochi Stati che, nel corso degli anni, hanno sviluppato un programma di armi chimiche, non è stato ritenuto indizio degno di essere menzionato nè fatto presente al telespettatore.



Più in generale, nel riferire sulla Siria, sembra che i media europei siano attenti soprattutto a non fare un passo più in là di quanto sono disposti a dichiarare i governi nazionali che di quelle TV sono proprietari. Il mantra del "queste immagini non possono essere verificate indipendentemente" fa comodo a chi non vuole che l'opinione pubblica si sgomenti ed anche si interroghi sul perché l'ONU non abbia preteso da Assad un corridoio umanitario, una sola tregua in due anni o la presenza di caschi blu armati a protezione di qualche villaggio.

Le TV nazionali globali però dovrebbero stare anche attente a non fare brutte figure. Non sempre è sensato dire "ancora non sappiamo cosa sia davvero successo" quando invece da youtube e twitter, e magari skype, è invece abbastanza chiaro. I video apparsi mercoledì 21 agosto sono stati moltissimi e si potevano quasi contare i morti uno per uno, cioè identificare visivamente le persone da un filmato all'altro e capire se questi erano appena stati girati in uno stesso edificio o in uno diverso. Inoltre, piuttosto chiari e coerenti erano i sintomi manifestati dalle vittime ancora vive ed evidente anche il fatto che i cadaveri non avessero segni di ferite come dopo gli usuali bombardamenti. Per questo le affermazioni dubitative sentite nel corso di vari notiziari hanno assunto un carattere paradossale, quasi surreale. Ad esempio la BBC ha fatto commentare questa mole di immagini tra le più impressionanti mai viste uscite da una zona di guerra, alla giovane "analista di politica estera" Naomi Grimley. Nel notiziario del 21 agosto (di cui conservo il podcast), ne ha parlato in questi termini:

"... it's all very grafic and I have to say it's terrifyingly real but there's nothing in the metadata of these videos that tells us decisively when this may have happened and of course we certainly don't know who's to blame." 

Oltre al tono euforico più adatto forse alla nascita di un royal baby che non a una guerra con già 100mila morti, notiamo come la Grimley per matadati intenda: l'indirizzo IP del computer (o smartphone) da cui è stato fatto l'upload di un filmato, la data del caricamento, la data della registrazione originaria del file sul telefonino. Siamo quindi di fronte all'incapacità, forse legata alla non conoscenza delle lingue straniere, certo non alla mancanza di tempo (la rivolta è iniziata a marzo 2011), di mettersi in contatto con i testimoni oculari di quegli eventi che si vogliono commentare a beneficio dello spettatore globale.
Ma ci sono tanti modi per dire se un video non è attendibile e la prima cosa da fare è guardarlo (bene). Facendo un parallelo, se trovo per strada un portafogli senza i documenti dentro (nel nostro caso: l'indirizzo IP di una connessione internet), di certo non posso risalire al proprietario ma non per questo mi sogno di dubitare che quello sia davvero un portafoglio (nel nostro caso: che quelle che vedo siano proprio dozzine di persone morte). Un giornalismo che non sa attivarsi per ricercare l'informazione o risalire alle fonti è un ossimoro.

Dopo aver scritto delle impressioni che ho ricevuto dal mondo dell'informazione nelle giornate del 21 e 22 agosto, concludo riportando anche un contributo puntalmente ignorato dai giornalisti italiani di TV e carta stampata. Elliot Higgins, l'esperto analista indipendente dei video provenienti dalla Siria, intervistato dal Guardian, ha messo in risalto che:

"the missiles, the images of which were posted online by Syrian activists after Wednesday's attacks, appeared to have been manufactured inside Syria and were of a type first used by Assad forces in Daraya in south-west Damascus on 4 January."


Nelle foto commentate da Higgins, accompagnate da video che mostrano che i reperti sono rinvenuti proprio a Gouta e non altrove, si vedono cioè missili simili a quelli usati e fotografati a suo tempo in altri siti (si cita Daraya, sempre nella provincia di Damasco) oggetto di attacco chimico. Dato che lo stesso analista inglese scrive di volersi riservare ulteriori verifiche quando gli perverrà ulteriore materiale video, è chiaro che non sta affatto affermando di aver trovato la scomoda "pistola fumante" che l'ONU non vuol vedere. 
Tuttavia questo contributo è importante come esempio del lavoro che si deve e si può fare se si vuole approfondire la questione della responsabilità dell'attacco e non invece accontentarsi (Grimley) di dire che le informazioni a disposizione "non sono sufficienti" per fare una valutazione realistica dall'accaduto.