21 agosto 2012

Morire di strada a 8 anni a Treviso


Non era romeno né "slavo" né moldavo né ucraino. Non era nemmeno ubriaco.
Al volante del furgone bianco, il signor Giorgio Ongaro, veneto doc, aveva fretta.
A Porta Santi Quaranta, a Treviso, il 13 marzo 2012 un immigrato (femmina, di anni 8) è morto per mano di un italiano.

La bambina non era stata lasciata sola per lunghe ora senza cure da genitori che non avevano tempo per lei. No, no. 
Gjylsime Zemaj era a un semaforo pedonale.




Sul rettilineo a due corsie del PUT (anello che circonda Treviso) una macchina, nella corsia di destra, si ferma con il giallo. Il PUT è una strada pazzesca: una specie di circonvallazione con decine di attraversamenti pedonali che la "interrompono" il libero corso delle auto.
Un pedone investito sul PUT ha poche possibiltà: si impara subito se lo si percorre anche solo qualche volta. 
Non l'avevano evidentemente imparato né Gjylsim in 8 anni di vita, né Giorgio Ongaro in 61.

Probabilmente in quel momento era molto importante correre: ché il tempo è denaro e... beh, in caso, rallenteranno gli altri. Quando scatta il giallo si può ancora passare; meglio accelerare anzi. E poi con i veicoli commerciali i vigili sono più tolleranti e chiudono un occhio: sanno che se si corre è perché si lavora.

Quando sei pedone, invece, se vedi la macchina nella corsia più vicina rallentare (ha il giallo) e fermarsi, forse ti viene naturale attraversare.
Soprattutto se il giallo c'è da un po', a meno che tu non sia iper-iper-prudente, comincerai l'attraversamento. A meno che non conosca bene, per esperienza, una strada come il PUT. 

Nel 2010 (dati ISTAT)  i morti sulla strade della provincia di Treviso sono stati 82: che significa 6° posto in Italia (prima nel Veneto) dopo Milano, Torino, Bologna, Roma, Napoli, tutte province di gran lunga più popolose.
Viene da pensare male, che forse la sicurezza non sia in cima ai pensieri degli adulti al volante. Ma no! In questo caso, ad esempio, possiamo cercare di sostenere che si è trattato di una fatalità, come un terremoto e non un investimento ad un semaforo pedonale.

L'attraversamento pedonale dove è avvenuto l'incidente

Non ci sono dossi rallentatori in quel punto (l'amministrazione di Treviso zelante in altre occasioni non li ha messi) e niente telecamere: non è una zona dove gli stranieri possono andare a rubare o violentare. Quel tratto rettilineo di PUT è semplicemente un posto dove, al massimo, BMW e furgoni corrono un po'.
Però sarebbe utile rivedere, da immagini che non ci sono, a quanto andava il Ducato bianco di Giorgio Ongaro anche perché la testimonianza dei due fratelli della vittima, rimasti fermi sul lato destro, potrebbe non essere considerata sufficientemente "credibile". Hanno 11 e 12 anni.
E così la bambina ha attraversato: perché ha visto la prima macchina che ha rallentato e si è fermata e perché, dopotutto, c'erano le strisce. Non ha visto, con gli occhi ad altezza di bambino, che di tre quarti alla sua sinistra, dietro alla prima macchina ferma, stava arrivando il Ducato. Avesse avuto lo sguardo all'altezza di noi grandi.... 
Non lo sapeva forse la bambina, che c'è gente che ai semafori, anche pedonali, anche sul PUT, che accelera invece di rallentare? Non lo sapeva che se un'auto si ferma a destra, su strada a due corsie, ci può essere un altro, nella corsia a fianco, che invece non si ferma e anzi accelera col giallo? A 8 anni, evidentemente, non poteva ancora averle presenti, tutte queste non-regole della circolazione.

Pare (e forse ai difensori del killer non servirà neanche provarlo, ma solo ipotizzarlo) che il semaforo dalla parte di Gjylsim fosse ancora rosso. Quando è scattato il verde però il furgone era 40 metri più avanti, con la bambina sotto le ruote. 
Il buon senso che l'adulto sembra proprio non abbia avuto, semplicemente, non l'ha protetta.

Ma qualcuno, facilmente un avvocato esperto in infortunistica, ha subito tirato in ballo il concetto di "concorso di colpa" che sicuramente, per il vizio di ingenuità della bambina, sarà confermato. Si sa, un'ipotesi di reato di omicidio colposo certo spaventa.

Chissà se ora va più piano, l'investitore di turno, almeno sul PUT e quando ci sono persone che aspettano di attraversare. Dato che purtroppo è solo l'esperienza che insegna. Ha dichiarato però di non avere nessun rimorso e di non sentirsi colpevole.

C'è chi ha simpatizzato, in città e leggendo la notizia, con la posizione dell'anziano uccisore; si considera l'aver accelerato "per sgombrare l'incrocio" una sorta di attenuante. Una sentenza del 2009 della Corte di Cassazione però dice che:

"...nel sistema delle norme sulla circolazione stradale l'apprezzamento della velocità, in funzione dell'esigenza di stabilire se essa debba o meno considerarsi eccessiva, deve essere condotto in relazione alle condizioni dei luoghi, della strada e del traffico che vi si svolge senza che assuma decisivo rilievo persino l'eventuale osservanza dei limiti imposti, in via generale, dal codice della strada..."

Chi non crede alla teoria della "sfortunata causalità", forse avendo presente come si guida, in genere, su queste strade, nota che appellarsi all'articolo 41 è fuori luogo: la norma per cui, una volta impegnato un incrocio i veicoli devono "liberarlo" al più presto, non si applica nel caso in questione proprio perché il furgone di Ongaro  non aveva affatto impegnato, ancora, "l'area di intersezione". La manovra è (come riporta il padre della bimba e come si potrà, forse, stabilire dai rilievi) viziata a monte dal non rispetto dei 50 orari e dal mancato arresto del veicolo (che dovrebbe sempre poter avvenire in condizioni di sicurezza) con luce gialla. L'aver accelerato è semmai un'aggravante. Guida pericolosa o, se vogliamo, guida con leggerezza.
Dalla lettura della Tribuna di Treviso e di altri giornali locali (ma non tutti: http://www.leggo.it/archivio.php?id=170738) si ricava l'impressione inquietante, che ci si sia affrettati a privilegiare l'opzione che considera l'investitore stesso quale incolpevole vittima di una circostanza sfortunata.

La storia di Gjylsime Zemaj però non va dimenticata. Ci sono tre aspetti da rimarcare.
Il "mondo degli adulti" ha negato ogni sua propria responsabilità: per il modo in cui è (s)regolato il PUT (responsabilità dell'Amministrazione) e per come a molti viene permesso di guidare nella Marca (responsabilità di ogni maggiorenne patentato e delle forze di Polizia Stradale e Municipale).
L'impressione è che non esista, prima di tutto presso la componente adulta della popolazione, una "cultura" della strada, ovvero una cultura che prende coscienza della pericolosità della strada

Secondo: diversamente da quanto piacerebbe credere al trevigiano leghista, questa volta, la vittima non ha subito la violenza di un criminale extra-comunitario entrato in Italia clandestinamente. Ad uccidere Gjylsime invece è stato un furgone bianco, iper-utilizzato veicolo simbolo dell'attivismo produttivo nordestino. Naturale che molte persone si siano immaginate, con un brivido di paura forse, al posto di Ongaro quel giorno di marzo. 

Terzo: un altro luogo comune contraddetto. Non è stato un giovane, drogato o ubriaco, di ritorno dal mare a investire Gjylsime; non qualcuno da additare facilmente come caso isolato, e facilmente stigmatizzabile, di irresponsabilità. Al contrario: l'attempato investitore (ma l'età non portava con sè saggezza e prudenza?) è una persona comune, un testimonial perfetto in un qualche patetico spot a favore dell'artigianato di Marca. Ma è forse una novità che il valore a cui qui siamo (quasi) tutti devoti, fino all'ebetismo, è il binomio lavoro/schei ? E dunque non c'è da stupirsi se moltissimi vivono la loro vita professionale correndo indemoniati per dimostrare, al vicino, alla moglie, a quelli del bar, che "stanno lavorando" (ma facendo che cosa, conta meno). 

C'è un nesso tra comportamenti e atteggiamenti diffusi in una data società e la cultura su cui quella società si sostiene. E a volte si può aver la sensazione di vivere respirando una mentalità cinica, rozza o, all'occorrenza,  assassina.

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Come è andata a finire: http://www.venetouno.it/notizia/34368/bimba-investita-lungo-il-put-dodici-mesi-a-giorgio-ongaro-