16 aprile 2016

Maria Montessori: la maestra e le parole nella Casa dei Bambini

  La maestra fa un quasi timido tentativo di avvicinamento al bambino che ella presume pronto a ricevere la lezione. Si siede al suo fianco e reca un oggetto che ella crede capace di interessarlo.
In questo consiste la preparazione della maestra. Ella dovrebbe essere preparata a tentare soltanto esperimenti. La risposta che ella attende dal bambino è che sorga in lui un’attività che lo inciti ad usare il materiale che gli è stato presentato.
  La lezione è un appello all’attenzione. Se l’oggetto risponde agli intimi desideri del bambino e rappresenta qualcosa che li soddisferà, incita il bambino a una prolungata attività, poiché egli se ne rende padrone e continua ad usarlo.
  Le parole non sono sempre necessarie; molto spesso basta mostrare come l’oggetto va usato. 

Ma quando è necessario parlare e iniziare il bambino all’uso del materiale di sviluppo e cultura, la caratteristica della lezione dev’essere la brevità; la perfezione consiste nella ricerca del minimo necessario e sufficiente.
Una lezione si avvicina alla perfezione quanto maggiore è il numero delle parole che riusciamo a risparmiare.
Cura particolare si deve dedicare, preparando la lezione, a contare e scegliere le parole che si debbono usare.


  Un’altra caratteristica della lezione è la sua semplicità: essa dovrebbe esser priva di tutto ciò che non è assoluta verità. Che la maestra non debba perdersi in vuote parole è compreso nella prima qualità; il secondo avvertimento è perciò una caratteristica del primo e cioè, le parole contate dovrebbero essere semplici al massimo grado e rappresentare l’esatta verità.
  La terza caratteristica della lezione è la sua obiettività; il che significa che la personalità della maestra scompare e in evidenza rimane solo l’oggetto su cui si desira che si concentri l’attenzione del bambino. La breve e semplice lezione non è, per la massima parte, che una spiegazione dell’oggetto e dell’uso che il bambino può farne.
  La maestra prenderà nota se il bimbo si interessa o non s’interessa all’oggetto, in che modo egli dimostra il proprio interesse, per quanto tempo, ecc. e si guarderà bene dal forzare il bambino che non sembra interessato a ciò che gli offre. Se poi la lezione, preparata col dovuto rispetto alla brevità, semplicità e verità, non è compresa dal bambino come spiegazione dell'oggetto, occorre dare alla maestra due avvertimenti: primo, non insistere nel ripeter la lezione; secondo, trattenersi dal far capire al bambino che egli ha commesso un errore o non ha capito, perché questo potrebbe arrestare per lungo tempo l'impulso ad agire, che costituisce tutto il fondamento del progresso.
   
   Supponiamo che la maestra desideri insegnare al bambino i due colori rosso e blu. Ella vuol attrarre l’attenzione del bambino sull’oggetto e gli dice  - Guarda, sta’ attento –. Se mira  a insegnargli il nome dei colori, ella dice, mostrando il rosso - Questo è rosso –, alzando la voce e pronunciando la parola rosso molto lentamente. Poi gli mostra l’altro colore dicendo – Questo è blu –. Per accertarsi  se il bambino abbia o non abbia capito, gli dice: - Dammi il rosso, dammi il blu – Supponiamo che il bambino commetta un errore; la maestra non replica né insiste; sorride e mette via i colori.
  Generalmente gli insegnanti si meravigliano di tanta semplicità; di solito essi dicono - Tutti san fare questo -. In verità siamo di nuovo di fronte a qualcosa di simile all’uovo di Colombo; ma il  fatto sta che nessuno lo sa fare. In pratica, è molto difficile valutare le proprie azioni, tanto più nel caso di comuni maestri, preparati secondo i vecchi sistemi. Essi opprimono il bambino con un diluvio di parole inutili e di racconti inesatti.

   Ad esempio se ci riportiamo al caso ora citato, una maestra comune sarebbe ricorsa all’insegnamento collettivo, attribuendo eccessiva importanza alla semplice cosa che ella deve insegnare e costringendo così tutti i bambini a seguirla, quando forse non tutti erano inclini a farlo. Presumibilmente ella comincerebbe una lezione così: - Bambini potete indovinare ciò che ho in mano? – Ella sa benissimo che i bambini non possono indovinare ce desta la loro attenzione con una insincerità. Poi, probabilmente direbbe: - Bambini, date mai uno sguardo al cielo? L’avete mai visto? L’avete mai guardato di notte, quando è tutto scintillante di stelle? No? Guardate il mio grembiule; sapere che colore è? Vi pare che sia dello stesso colore del cielo? Orbene guardate il colore che ho qui: è lo stesso  di quello del cielo e del mio grembiule: è blu. Guardatevi attorno; vedete altre cose che siano blu? E sapete di che colore sono le ciliegie? E i carboni ardenti? - ecc. ecc. 
   Così la mente del bambino dopo la confusione dell’indovinare è sopraffatta da un cumulo di idee: il cielo i grembiuli, le ciliegie, ecc.; e in questa confusione gli è difficile identificare il soggetto, lo scopo della lezione, che è quello di riconoscere i due colori rosso e blu. Inoltre un tale importante atto di selezione è impossibile per la mente del bambino specialmente considerando che egli non è capace di seguire un lungo discorso. 
[...]

   Ottenere una lezione semplice da una maestra preparata secondo i soliti metodi è ben difficile. Ricordo che, dopo molte spiegazioni in merito, chiesi a una delle mie maestre d'insegnare, usando gli incastri, la differenza tra un quadrato e un triangolo. Essa doveva semplicemente adattare un quadrato e un triangolo di legno in ispazi vuoti ad essi corrispondenti, far tracciare al bambino, col dito, i contorni degli incastri e dei corrispondenti spazi vuoti e dire - Questo è un quadrato -, - Questo è un triangolo -. La maestra, facendogli toccare il contorno, cominciò a dire - Questa è una linea, un'altra, un'altra, un'altra; sono quattro; conta ora, con le tue dita, quante sono. E gli angoli? Conta gli angoli tastali col dito, premili; anch'essi sono quattro. Guardalo attentamente: è un quadrato! - 
   Io corressi la maestra osservandole che non insegnava a riconoscere la forma, ma dava al bambino l’idea di lati, angoli, numeri: cosa ben diversa da quella che doveva insegnare. Ma ella si difese dicendo – E’ la stessa cosa -. Non è la stessa cosa: è l’analisi geometrica e matematica della cosa. Si potrebbe aver afferrato l’idea della forma quadrata senza saper contare fino a quattro e perciò senza poter trovare il numero dei lati e degli angoli. Lati e angoli sono astrazioni, che non esistono di per se stesse; ciò che esiste è un pezzo di legno di una determinata forma. Le spiegazioni della maestra non solo confondevano la mente del bambino ma attraversavano l’abisso che separa il concreto dall’astratto, la forma di un oggetto dalla sua metematica.

                      (da La scoperta del bambino. Capitolo VII: Gli esercizi. Garzanti, 1950) 


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  In questo brano Maria Montessori da alcune indicazioni alle maestre che lavorano con bambini piccoli o piccolissimi:
- accertarsi di avere l'attenzione del bambino focalizzata sull'oggetto mentre lo si denomina (i nomi dei colori);
- conoscere e tener conto, come prerequisito, delle capacità cognitive attuali del bambino; nel brano, la capacità (assente) di seguire il senso di un lungo discorso; 
- non inondare di parole inutili la situazione di apprendimento al fine di non creare possibili distrazioni in compiti che primariamente non sono linguistici. 
Tali accorgimenti la pedagogista italiana li aveva probabilmente sviluppati a partire dalla sua esperienza con bambini con svariate forme di deficit cognitivi (ma anche linguistici, comunicativi, prassici, ecc..). 
 Nell'ultimo paragrafo riportato infine, in maniera sicuramente notevole per l'epoca, la studiosa indica anche al lettore contemporaneo la differenza (indipendenza) tra cognizione spaziale e cognizione numerica.
  
 Altri punti della visione generale montessoriana dell'educazione che ritroviamo sopra: 
- la concezione del maestro come scienziato, capace di osservare analiticamente i comportamenti dei bambini, sia spontanei che nei compiti assegnati (prestazioni)
- il far leva sull'interesse naturale per il mondo degli oggetti (quasi tutti i bambini amano gli incastri, fare le torri coi cubi ecc) e un basare l'apprendimento sull'esperienza (empirismo) 
- l'esigenza di far esercitare al bambino determinate abilità mirate a un ulteriore sviluppo mentale e culturale 
- l'opposizione, tipica dell'attivismo pedagogico, al verbalismo nozionistico delle scuole tradizionali 
- la più generale necessità etica di essere sinceri e trasparenti con i bambini.