Non che sia obbligatorio fare come il New York Times, l'Independent, Le Figaro, il Washington Post, El Pais o Il Fatto Quotidiano ma in ogni caso è giusto che l'utente che naviga prenda atto della scelta editoriale di un giornale online come Repubblica.
Perché si tratta di una precisa scelta, ovviamente.
Quando il giornale fondato da Scalfari impedisce di commentare gli articoli che pubblica (nel senso che non è predisposto alcuno spazio per i commenti) lancia messaggi chiari ai lettori:
- non vogliamo sapere la vostra opinione, non ci interessa
- non vogliamo che su queste pagine si generi alcun dialogo
- noi siamo i giornalisti professionisti e voi siete i lettori, destinatari delle nostre opinioni e della nostra ricostruzione delle notizie.
E' vero che la sezione "blog" è abilitata ai commenti, ma si tratta, appunto, solo di una parte del sito. Quella delle "pagine personali" dei vari giornalisti (alcuni certamente indiscutibili, a cui non siamo degni neanche di slegare i lacci dei sandali, come Rampini o Stille). Una sezione che si presenta, al visitatore, come secondaria.
In questo momento la stampa mondiale va in direzione opposta: invita i lettori a discutere e quindi, potenzialmente, a mettere in discussione anche quanto viene scritto.
L'atteggiamento di Repubblica non può non venire preso, da chi si è ormai abituato a un approccio più interattivo e "partecipato", come autoreferenziale e un tantino arrogante (tra parentesi, io noto una certa somiglianza con la considerazione dei vari D'Alema e Veltroni per il loro bacino elettorale?).
La Repubblica, interpellata con un'email, mi ha ovviamente ignorato. C.v.d.